Un flat field poco ortodosso

Un Flat Field poco “ortodosso”

A cura di Massimiliano Mannucci & Nico Montigiani

Fra le varie fasi di pretrattamento di un’immagine, forse la più nota per le problematiche in se insite è l’acquisizione del Flat Field. A differenza dell’operazione di Dark Frame (Bias + Termico) che ha la funzione specifica di ridurre fenomeni dovuti a rumore casuale e a corrente di buio, l’immagine di Flat Field ha invece la funzione di ridurre le disomogeneità dovute al guadagno irregolare della matrice dei pixel, ad una irregolare trasmissione delle ottiche (vedi il fenomeno di vignettatura), e alla presenza di polveri sulle ottiche stesse incluso CCD. 

Da ciò ne consegue la necessità di produrre un Flat Field per ogni configurazione ottica che si va ad utilizzare e, se possibile, anche per ogni sessione osservativa, in quanto, se la vignettatura è un fenomeno che tende a ripetersi uguale a se stesso quando si utilizza la medesima ottica, la polvere può invece apparire o scomparire col trascorrere del tempo.
Per quanto esistano svariate tecniche di acquisizione di una immagine di Flat Field e nonostante le innumerevoli diatribe sorte relativamente alla maggiore o minore correttezza delle diverse procedure utilizzabili, in sostanza, l’acquisizione di un Flat Field consiste nel riprendere una superficie omogeneamente illuminata al fine di ottenere un’immagine caratterizzata da tutte quelle disomogeneità precedentemente citate. Considerando che il valore di ogni singolo pixel ci indica la misura della differenza di omogeneità, tale valore rappresenta un peso che ci sarà utile per riequilibrare le immagini. Tale riequilibratura la si ottiene dividendo l’immagine originale del nostro oggetto (ma già corretta di Dark Frame) per l’immagine di Flat Field (anch’essa già calibrata tramite la sottrazione del suo Dark Frame)
Non è però nostra intenzione disquisire relativamente alle diverse metodologie di acquisizione, e nemmeno dilungarci troppo sulla teoria del Flat Field in quanto tale argomento è già stato trattato approfonditamente in diversi articoli sia su questa rivista che su altri testi specializzati. E’ invece nostra intenzione riportare quella che è l’esperienza di chi quasi quotidianamente deve combattere con i disagi e gli imprevisti che sistematicamente sorgono durante ogni serata osservativa.
Non sempre l’astronomo dilettante può disporre di superfici omogeneamente illuminate da poter riprendere al termine delle proprie riprese. Per di più, chi normalmente è nella condizione di dover ogni volta montare e smontare l’attrezzatura, non può certamente disporre di un cosiddetto “Master Flat Field”, cioè un’immagine di flat utilizzabile per più sessioni osservative previo spostamenti della polvere che inficiano la validità del Master Flat Field. Infatti questa tecnica obbliga a mantenere perennemente installata la telecamera sul telescopio così da non avere variazioni nella configurazione ottica generale.
Il Flat Field, per quanto sia ortodosso applicarlo sempre, abbiamo verificato non rendersi sistematicamente necessario se il telescopio utilizzato non è affetto da un forte fenomeno di vignettatura e se le ottiche del CCD e del telescopio stesso sono sufficientemente pulite.
Nell’eventualità in cui però si vada ad introdurre elementi ottici come oculari, filtri o riduttori di focale, il Flat Field si rende praticamente indispensabile. Non tanto per i problemi derivanti da presenza di polveri, ma da fenomeni di vignettatura.
In tali condizioni, nel caso in cui non si disponga di un Flat Field regolarmente acquisito, le immagini riprese si rivelano quasi sempre estremamente compromesse e di fatto inutilizzabili sia a fini scientifici che estetici.
Partendo dalla nostra esperienza accumulata sul campo, ci siamo trovati nella necessità di cercare una qualche soluzione, seppure parziale, al problema. Abbiamo così escogitato un sistema, all’apparenza poco ortodosso, ma spesso estremamente efficace al fine di recuperare immagini altrimenti da gettare.
Premesso che con questa tecnica non siamo ovviamente riusciti ad eliminare i problemi relativi alle polveri e alla disomogeneità di acquisizione della matrice di pixel, abbiamo però praticamente eliminato “artificialmente” il fastidioso effetto di vignettatura che rendeva la nostra immagine originale impossibile da elaborare efficacemente. Come si vede nella Fig. 1, la vignettatura era molto evidente e non era possibile toglierla se non perdendo completamente alcuni dettagli della galassia (vedi Fig. 2).

 Fig.1Fig.2

(Fig. 1) Immagine originale con Dark Frame sottratto e leggero stratching lineare.

(Fig. 2) Immagine originale con Dark Frame sottratto e pesante tratching lineare.

A questo punto abbiamo deciso di provare a realizzare una immagine di Flat Field artificiale. Dovendo riprodurre approssimativamente la vignettatura, l’unico modo era quello di cercare di ricavarla in qualche modo dall’immagine originale stessa. Abbiamo così elaborato l’immagine originale forzando i contrasti in modo da identificare bene l’area di maggiore energia luminosa (vedi Fig. 3).

  Fig.3

 (Fig. 3) Immagine originale forzata al fine di identificare il fenomeno di vignettatura.

Una volta ottenuta l’immagine in Fig.3, siamo andati a riempire l’area circolare più chiara con un colore grigio chiaro uniforme e l’area esterna più scura con un grigio più scuro uniforme (vedi Fig. 4) utilizzando il programma per elaborazione di immagini Aldus Photostyler. A questo punto abbiamo applicato un filtro gaussiano per effettuare una forte sfocatura in modo da rendere “morbido” il confine fra la zona in grigio chiaro e quella in grigio scuro (vedi Fig.5).
Abbiamo poi importato l’immagine in Fig.5 con il programma di elaborazione per immagini CCD Astroart, e abbiamo effettuato una divisione fra l’immagine originale e quella del Flat “artificiale” di Fig. 5.

 Fig.4Fig.5

(Fig. 4) Prima fase di realizzazione del Flat artificiale.

(Fig. 5) Immagine 4 trattata con filtro gaussiano.

Elaborando poi l’immagine ottenuta abbiamo visto che pur avendo adottato una tecnica “poco ortodossa”, siamo riusciti a recuperare efficacemente una immagine che altrimenti non ci avrebbe mai dato tali risultati (vedi Fig. 6).

 Fig.6

(Fig. 6) NGC 7331Ripresa con un Meade LX6 10” f/10 con riduttore di focale a f/6.3 a trattamento ultimato.

Quel che qui vogliamo sottolineare è che non è nostro intento proporre una metodologia che sostituisca in toto quella del Flat Field intesa in senso convenzionale, in quanto essa rimane senza ombra di dubbio l’unica e vera procedura per la normalizzazione delle anomalie di omogeneità.
Infatti, quanto da noi qui proposto non può in alcun modo sopperire ai difetti introdotti dalla presenza di grani di polvere o da forti disomogeneità dovute al chip stesso. L’impossibilità di apportare anche questi tipi di calibrazione rende quindi l’immagine non utilizzabile per alcuni scopi, come ad esempio, la fotometria. L’aver però recuperato nel suo complesso un certo grado di qualità dell’immagine ci consente comunque di sfruttarla a fini astrometrici o di ricerca di supernovae o, se si è fatto un buon lavoro, anche a fini estetici.

 Fig.7Fig.8

(Fig. 7) M82 ripresa con Newton 10” f/5.6 prima del trattamento

(Fig. 8) M82 ripresa con Newton 10” f/5.6 dopo il trattamento

Si tratta di una tecnica fortemente empirica e quindi legata anche ad una certa capacità pratica di riuscire ad ottenere il compromesso migliore in seguito ad una serie di tentativi.
E’ a volte necessario produrre diversi Flat artificiali con diversi gradi di sfocatura ottenuti col filtro gaussiano al fine di incontrare al meglio il reale fenomeno di vignettatura da cui è affetta l’immagine originale.
Infatti una eccessiva discrepanza fra il Flat artificiale e la reale vignettatura può poi, al momento del trattamento, far comparire nell’immagine risultante una specie di corona circolare più chiara, sintomo di una non buona approssimazione del Flat artificiale e reale fenomeno di vignettatura.

Bibliografia

  1. Claudio Lopresti, Il Flat Field, Nuovo Orione, n° 35 Aprile 1995
  2. Michael V. Newberry, Puirsuing the Ideal Flat Field, CCD Astronomy, winter 1996
  3. Patrick Martinez and Alain Klotz, A practical guide to ccd astronomy, Cambridge University Press 1998

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